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Brain fog, Alzheimer e menopausa: l’importanza di essere donna

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Brain fog, Alzheimer e menopausa: l’importanza di essere donna
Il termine brain fog è più di un semplice dimenticarsi perchè si è entrati in una stanza. Nelle donne predisposte, infatti, avere “brain fog” in menopausa può rappresentare una finestra di opportunità per cogliere fenomeni biologici che potrebbero anticipare il declino cognitivo severo e un progressivo sviluppo della malattia di Alzheimer. 

Decadimento cognitivo e Alzheimer: perché le donne dopo la menopausa sono più a rischio

Le donne affrontano un rischio significativamente più elevato di sviluppare Alzheimer rispetto agli uomini, e non è solo questione di longevità. Infatti, se il primo fattore di rischio per sviluppare malattia di Alzheimer è l’età avanzata, il secondo è l’essere di sesso femminile, con oltre il 60 % dei casi tra donne in età post-menopausa. La menopausa, e in modo brusco e precoce anche la menopausa chirurgica, rappresentano infatti momenti cruciali in cui la perdita estrogenica compromette funzioni vitali per la salute del cervello .

Il declino cognitivo però inizia già durante la transizione menopausale (o premenopausa), in un arco di tempo che può anticipare i sintomi clinici di 10–20 anni, come dimostrano studi recenti. È proprio questa fase che rappresenta il crocevia tra trasformazioni ormonali e vulnerabilità neurologiche per la donna.

“Nella transizione menopausale infatti si assiste a una drastica riduzione di 17β-estradiolo, l’estrogeno più attivo in età fertile, fondamentale per la salute neuronale – spiega la dottoressa Raffaela Di Pace, Direttore scientifico di Lynda -. L’estradiolo è prodotto principalmente dalle ovaie, ma anche sintetizzato localmente nel cervello, e agisce su recettori (ERα, ERβ e GPER) distribuiti in aree chiave come ippocampo, corteccia prefrontale, ipotalamo, amigdala. Dal punto di vista funzionale, l’estrogeno esercita molteplici azioni protettive: regola la plasticità sinaptica, stimola la neurogenesi, cioè la formazione di nuovi neuroni, esercita effetti anti-infiammatori e vasodilatatori, sostiene la produzione di energia a livello del cervello e metabolismo del glucosio, preserva la funzione mitocondriale, ed è anche coinvolto nella riduzione della formazione di placche amiloidi, ovvero le formazioni caratteristiche della malattia di Alzheimer. Quando l’estrogeno viene a mancare, nell’arco della menopausa, si osservano deficit energetici cerebrali (ridotto glucosio, metabolismo ossidativo), accumuli amiloidogenici, neuroinfiammazione, sinaptotossicità. In altre parole, la perdita estrogenica può favorire meccanismi precoci di Alzheimer e contribuire a spiegare la maggiore prevalenza femminile”.

Menopausa e brain fog: quali sono i sintomi a cui prestare attenzione?

La malattia di Alzheimer si sviluppa mediante un processo lento di accumulo di proteina β-amiloide, perdita neuronale e sinaptica, che inizia fino a 10–20 anni prima dei sintomi clinici evidenti. Questo periodo silente corrisponde al periodo perimenopausale, ovvero a un’età di circa 50 anni, e alla comparsa di sintomi e disturbi associati alla menopausa. Tra questi: vampate di calore (disturbi nella termoregolazione), alterazioni del ritmo circadiano e insonnia, sbalzi dell’umore, problemi di memoria e attenzione, il “brain fog” sono essi stessi fattori di rischio di Alzheimer.  

In caso di disturbi e sintomi della menopausa, raccomandiamo alle donne di rivolgersi a un medico esperto di menopausa per valutare il trattamento dei sintomi con le terapie adeguate e personalizzate oggi disponibili, e iniziare una valutazione neurologica in caso di brain fog – sottolinea la dottoressa Di Pace -. Quei 10-20 anni in cui la malattia è silente, cioè non presenta sintomi, rappresentano una finestra di opportunità per ridurre o bloccare la progressione del declino cognitivo. Questo è particolarmente importante perchè permette di poter vivere una vita di qualità anche nella postmenopausa e dell’anzianità”. 

Menopausa chirurgica e oncologica: quale relazione con il rischio di declino cognitivo

La menopausa chirurgica, ovvero la menopausa indotta dall’intervento di isterectomia (asportazione dell’utero) e ovariectomia bilaterale (asportazione delle ovaie), e la menopausa oncologica, cioè causata da terapie oncologiche, comportano una cessazione brusca della produzione di estrogeni. A differenza della menopausa spontanea o fisiologica, più graduale, la menopausa chirurgica e quella oncologica sono spesso associate a maggiori conseguenze neurologiche.

Fin dagli anni ’80, studi hanno documentato il declino della capacità mnemonica (la memoria) nelle donne sottoposte a ovariectomia in età precedente la menopausa naturale. Studi successivi hanno dimostrato che queste donne presentavano un rischio di demenza quasi raddoppiato rispetto alle coetanee con menopausa spontanea. La gravità del rischio, secondo gli studi, è maggiore nel caso di ovariectomia bilaterale, intermedio se è unilaterale, cioè se viene rimossa solo una delle due ovaie, ma è significativo anche con solo isterectomia senza rimozione ovarica. Inoltre, quando la chirurgia avviene in giovane età, il rischio aumenta, con aumento del carico di placche amiloidi osservato in esami post-mortem.

Dal punto di vista funzionale, la menopausa chirurgica e quella oncologica sono caratterizzate da alcuni disturbi comuni, più marcati rispetto alla menopausa spontanea, che possono comparire anche in età giovane:

  • deficit nella memoria visiva
  • riduzione nella memoria semantica (quella che ci permette di ricordare le parole che vengono dette)
  • difficoltà nell’apprendimento verbale e nel richiamo di parole (difficoltà a trovare le parole durante un discorso).

In alcune ricerche, le donne con perdita di estradiolo maggiore del 50 % dopo l’intervento mostravano peggiori performance di memoria a breve termine rispetto a quelle con riduzione ormonale minore. “Tuttavia, oggi sappiamo che la terapia ormonale sostitutiva post-chirurgica e interventi di neuropsicologia di supporto alle funzioni cognitive possono mitigare i sintomi, con un possibile effetto neuroprotettivo – conclude l’esperta.

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